Anche i Liguri della preistoria - prima raccoglitori nomadi, poi cacciatori ed allevatori quasi nomadi, infine agricoltori e commercianti - riconoscevano valori trascendenti a quanto era loro inspiegabile o ineluttabile.
Sul Monte Bego ed ai Balzi Rossi, ad esempio, troviamo testimonianze sacrificali a fenomeni naturali, quali i tuoni, i fulmini, la morte: paure ed insicurezze motivavano la ricerca di favori e di protezione. Poteri sovraumani, in verità, venivano anche attribuiti al sole, all'acqua e ad importanti funzioni positive della natura.
Il culto dei morti era praticato con l'intento di esorcizzare l'ansia della fine e la caducità della vita. Nelle tombe più antiche troviamo - in posizione esclusiva o preminente - spoglie maschili, in quanto la forza fisica determinava, per la sopravvivenza di tutti, una conclamata superiorità di genere. In periodi successivi, con l'avvento della stanzialità e dell'adozione di un'economia agricola dove donne e uomini avevano comuni capacità produttive, spoglie femminili condivisero i sepolcri.
Lo sviluppo, nel tempo, delle condizioni economiche e civili richiese l'apertura di nuove vie di comunicazione per facilitare il commercio e l'interscambio nelle sue varie forme. I popoli celtici, ad esempio, migrarono in gran numero nelle terre liguri nel IV e V secolo a.C. apportando i loro elementi distintivi. È d'origine celtica, infatti, il culto della fertilità.
All'inizio, la funzione fertile più importante era stata riconosciuta al maschio per cui si costruirono templi al dio maschile Belen (Beleno, Belenus). A Costa Balena, nei pressi del Capo Don (Taggia), esistono reperti di un tempio a questo dio dedicato. Non sono stati ritrovati templi di culto alla fertilità femminile, ma numerosissime sono le sculture che la celebrano.
Questa, a grandi linee, era la realtà spirituale e religiosa che i Romani trovarono nel 200 a.C. quando riuscirono, e non fu loro facile, a conquistare il Ponente Ligure. I Romani, come sempre e ovunque, non imposero i loro riti e credenze religiose, ma si limitarono ad aggiungerli a quelli già esistenti nei territori occupati.
La novità apportata dai Romani fu che le deità, prima impersonali e cosmiche, acquisirono identità personalizzate ed antropomorfe, similmente alla susseguente religione cristiana.
Già diffuso in Turchia e nel Corno d'Africa, il Cristianesimo - definito dal Sinedrio "empia setta dell'ebraismo" - dopo Nerone, dopo la prima guerra ebraica e dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme trovò crescente seguito tra le varie classi sociali romane, compresa quella politica e militare.
Le più sanguinose, storiche persecuzioni dei cristiani furono perpetrate nel III e inizio IV secolo quando i cristiani erano ormai diventati numerosi e ricchi, mentre l'impero - travolto da un inarrestabile declino culturale, militare, politico ed economico - era sempre più alla ricerca di nuove risorse finanziarie e accettava sesterzi in cambio di condoni "vitali". Anche questa concausa trova spazio nella storia.
Al politeismo erratico pagano, i Romani preferirono il monoteismo misericordioso cristiano e la fede nella vita eterna. L'efficace opera missionaria di tutti i convertiti e dei presbiteri (allora non preti) favorì l'evangelizzazione; molti soldati romani cristiani diffusero la loro fede in tutto l'impero. Fu così che anche il Ponente Ligure conobbe i primi evangelizzatori.
La tradizione vuole che, tra loro, ci fosse il milanese di religione ebraica San Nazario, discepolo di San Pietro, che - con San Celso - si spinse sino alla Provenza. Ambedue furono poi martirizzati a Roma alla fine degli anni 60 d.C. Predicavano, come detto, il monoteismo e si professavano discepoli di Cristo, il Messia, il Dio incarnato, morto e risorto alla vita eterna. Come punti di riferimento teologico avevano le testimonianze tramandate verbalmente, i primi vangeli apocrifi, la sacra scrittura, il diritto naturale.
Con l'editto di Costantino del 313 ed i successivi eventi storici, il Cristianesimo assunse un grande potere politico e del potere adottò i principi che sono da sempre e ovunque coerenti con questo ruolo: decaloghi comportamentali, dogmatismi, punizioni deterrenti, riti e funzioni aggreganti. Gli originali principi di assoluta fiducia in Dio, di amore verso sé stessi ed il prossimo non sembravano sufficienti a consolidare l'appartenenza religiosa.
Si rese anche essenziale, perché il potere funzionasse, una presenza organizzata, centralizzata, efficiente, interdipendente e diffusa su ogni terra conosciuta. Primi protagonisti dell'evangelizzazione organizzata nel Ponente furono gli ordini religiosi monacali. Già alla fine del V secolo, alcuni eremiti avevano trovato rifugio nelle varie isole della costa (Lerins, Gallinara, etc...) dedicandosi alla meditazione e alla preghiera.
Nell'isola di Lerins, di fronte a Cannes, si radunarono in molti e si costituirono in grandi comunità cenobitiche con abati e regole. Si dice che fu in quest'isola che San Patrizio, l'evangelizzatore dell'Irlanda, avrebbe compiuto i suoi studi, ma ci sono solo evidenze che il cenobio fu frequentato da pellegrini irlandesi e scozzesi. Nel 732 l'abate e cinquecento monaci, attaccati dai Saraceni, furono uccisi. Nel 1073 il monastero fu ricostruito e fortificato ad opera dell'abate Aldebert.
Questi centri di studi religiosi, culturali e politici, diffusi gloriosamente in Francia ed in tutta Europa, furono gli embrioni della grande civiltà medievale. I monaci praticavano, tra l'altro, il celibato, la mortificazione della carne e le confessioni individuali, prassi e norme canoniche ancor oggi in essere.
Gli abati, eletti da tutti i membri delle comunità, esercitarono un potere indipendente, anzi superiore a quello dei vescovi, tanto che Carlo Magno - primo imperatore del Sacro Romano Impero - incoronato nell'800 dal Papa, confermò proprietà e privilegi agli istituti religiosi (riscossione delle decime) e agli abati (di diritto anche consiglieri della corona).
La gestione militare dell'impero, invece, fu organizzata secondo i principi feudali di classi nobiliari ereditarie i cui obblighi istituzionali erano la fedeltà all'imperatore e la difesa delle comunità loro affidate; gli abitanti del territorio versavano le decime dei loro raccolti per questo servizio.
Nel Ponente Ligure, diversamente da molti altri territori carolingi, i nobili non erano proprietari della terra (eccezionalmente, alcuni possedevano solo frantoi e diritti di transito); il loro diritto era quello di riscuotere le decime su ogni attività economica svolta dalle popolazioni e sui patrimoni dei cittadini. Abitavano castelli e comandavano truppe armate a custodia delle vie di comunicazione e delle proprietà civili e religiose.
La cessione, quindi, di una signoria (frequentemente un nobile esercitava questa sua potestà) consisteva nella cessione di un diritto non di una proprietà territoriale, che invece apparteneva ai locali capifamiglia, proprietari di terra.
L'anno Mille fu l'anno di una generale rinascita economica, demografica, culturale e sociale di tutta l'Europa. Da un punto di vista religioso, furono i papi tedeschi, nominati dall'imperatore sassone Ottone III (cesaropapismo) a segnare indelebilmente la struttura ecclesiale della Chiesa (ci vollero altri mille anni per vedere un altro tedesco salire il sacro soglio, Benedetto XVI).
Gregorio V, figlio del duca di Carinzia, appunto, con la sua riforma affermò il primato del vescovo di Roma e della Santa Sede su ogni altra autorità, fossero abati, ordini religiosi, vescovi territoriali e clero, sconvolgendo lo status quo e definendo i principi organizzativi ancora in essere.
In Europa, in Italia e nel Ponente, la Chiesa acquistò una struttura capillare e verticalizzata con le diocesi e le parrocchie custodi ed esecutori di decisioni centralizzate. Le autonomie religiose ed identitarie locali, di fatto, furono tutte abolite.
Da un punto di vista politico, invece, alcuni diritti individuali e locali trovarono "formale" riconoscimento con la promulgazione di statuti comunali: nella "pratica e nei fatti", il potere fu sempre esercitato da potentati autocratici.
In buona parte del Ponente, fu la Repubblica di Genova ad assumere il predominio politico, economico e culturale. La sottomissione economica del Ponente a Genova fu irriducibile: lo sanno bene Savona, Ceriale ed altri centri che videro i loro porti interrati solo per aver tentato di promuovere iniziative in concorrenza con quelle di Genova.
Molti abitanti del Ponente furono anche costretti ad imbarcarsi e a combattere al seguito della Repubblica nelle crociate promosse dai Papi a sostegno del progetto di comporre militarmente lo scisma bizantino e di liberare i luoghi santi. Storicamente, per rinforzare il consenso interno, si ricorre a causare conflitti esterni.
Da sempre, il navigare nel mar Ligure e nel Mediterraneo richiedeva una particolare attenzione agli attacchi di pirati, ma - dopo le crociate - gli attacchi pirateschi sul mare e alle città della costa s'intensificarono tanto che s'ipotizzò, senza reali riscontri, che le incursioni dei nuovi pirati (chiamati "saraceni" o "turchi"), fossero state in realtà ritorsioni alle crociate cristiane.
È un dato di fatto, comunque, che i monasteri sulle coste del Ponente e del Nizzardo furono distrutti dai Musulmani prima e dopo le Crociate e che le loro scorrerie sulla costa si fecero così frequenti e crudeli che molti abitanti del litorale si rifugiarono nell'entroterra in piccole comunità, borghi, più difendibili.
Queste micro comunità caratterizzano ancor oggi parte della società ponentina e ne rappresentano il fascino ed il problema.
Malgrado tutte le difficoltà ed il passare del tempo, la religione cristiana rimase indissolubilmente la "religione del popolo". La partecipazione al culto era generale, sia per convinzione che per consuetudine. Ogni poche case si trova, ancor oggi, una chiesa, un oratorio, un luogo di culto. Sulle facciate dei palazzi, nei vicoli, al bordo delle mulattiere, ogni dove, si vedono edicole, portali, nicchie e croci: quasi sempre costruiti per iniziative private e volontarie, tanto da certificare che questa fede, praticata dalla grandissima maggioranza, offriva a quell'umanità soddisfacenti risposte alle sue domande di senso.
Condivisa era una fede generalizzata sulla relazione dei vivi con una vita ultraterrena dei deceduti. Nell'entroterra ancora è praticato il culto dei morti: le cerimonie funebri sono spesso eventi popolari di massa.
La Chiesa, responsabilmente, si era assunta, direttamente e indirettamente, anche il compito di sostenere forme diverse di assistenza sociale e le confraternite sono state per secoli coscienza religiosa e opera solidale in ogni piccola o grande comunità del Ponente Ligure. Il sollievo dalla sofferenza, dalla morte e dalla solitudine, infatti, è stato lo scopo istituzionale mai tradito delle confraternite.
La vita media, allora inferiore ai 40 anni, la durezza del lavoro nelle fasce sassose e aride, l'impervia logistica, la configurazione orografica del terreno coltivabile, spiegano il perché nelle chiese, nelle case, nelle confraternite, ovunque il simbolo cristiano - che in origine era il pesce - si confermò essere la Croce, che sottintende l'interpretazione della vita come offerta d'immolazione piuttosto che come gioioso dono divino. Non era quello il tempo di parlare di gioia di vivere; la gioia massima allora, forse, consisteva nel generare vite e costruire famiglie numerose.
Un concreto conforto, ripetiamo, veniva dalle confraternite religiose. In caso di malattia o impossibilità al lavoro, era consuetudine che le confraternite contribuissero gratuitamente alla coltivazione dei campi ed alla cura del relativo raccolto per conto dell'invalido.
Il mondo, intanto, tutt'intorno, correva: culturalmente, economicamente, socialmente, religiosamente. Il messaggio dell'Illuminismo, ("la super cristianizzazione dell'essere", secondo Voltaire) esplose prima tra le classi intellettuali europee e, con l'occupazione del Ponente da parte delle truppe di Napoleone, raggiunse per prima la società ponentina di città. Il secolare immobilismo socio-economico-politico-filosofico-religioso fu spazzato via in poche settimane.
Tutte le sovranità della Liguria (contee, marchesati, principati, comuni, la stessa Repubblica di Genova) divennero, direttamente o indirettamente, parte dell'Impero Francese e ne adottarono la costituzione rivoluzionaria. Gli ordini religiosi furono aboliti, i monasteri furono chiusi, i loro beni confiscati e destinati a scopi civili, le scuole furono consegnate ai municipi. Nelle valli, logisticamente isolate, l'effetto del nuovo pensiero fu contenuto, quasi irrilevante.
Dopo la Restaurazione, il clero secolare si riprese, in qualche modo, il suo prestigio popolare; ma nulla più. Per sempre, ormai, aveva perduto la sua egemonia culturale. Il mondo illuminista e liberale si era messo in moto, baldanzoso, alla ricerca della felicità, non più nel post mortem, ma"hic et nunc": libertà, eguaglianza e fratellanza.
Dietro ai nuovi vessilli, si affermarono subito nuovi poteri. La Liguria partecipò da protagonista a queste nuovi aneliti ed il Ponente fu accogliente culla per molti mazziniani, indipendentisti, garibaldini e socialisti antesignani: tutti movimenti anticlericali.
Il Risorgimento, anch'esso, fu vissuto e partecipato soprattutto dalle classi privilegiate delle città, molte delle quali attigue alla massoneria anglo-francese. Nei paesi la pratica religiosa rimase sostanzialmente immutata anche grazie al presidio locale del clero. L'assenza di scuole primarie laiche rallentò l'impeto riformista.
La richiesta di riforme rimaneva, comunque, ineludibile e nuove forze premevano.
Con il Congresso di Vienna del 1815, che segnò anche la fine ufficiale del Sacro Romano Impero, ai Savoia - re di Sardegna e principi di Piemonte - fu destinato il territorio da Nizza alla foce del fiume Magra, con Genova sottomessa. Nel 1870, ai Savoia fu inflitta la scomunica papale per aver ordinato l'invasione dello Stato Pontificio e la presa di Roma: nel Ponente gli effetti religiosi di questi fatti furono praticamente ininfluenti.
Mutarono, invece, i poteri politici ed economici, una volta molto sensibili alle pressioni delle gerarchie ecclesiastiche, ora sottoposti alle pressioni preferenziali dei nuovi gruppi dominanti laici e dichiaratamente anticlericali. Bisognava attendere il 1929 perché i governi italiani riconoscessero realisticamente il potere comunicativo della Chiesa nel determinare il consenso popolare: così si elaborò un compromesso di mutuo gradimento.
Con il Concordato, la religione cattolica venne riconosciuta come "Religione di Stato" ed alla Chiesa vennero concessi, a titolo di riparazione, vari ed ingenti benefici: somme finanziarie cospicue, restituzione delle proprietà, anche di quelle detenute secoli prima, riconoscimenti delle feste religiose come feste nazionali, stipendi ai parroci, tassazioni agevolate. Il Ponente Ligure rimase, anche in questo caso, religiosamente stabile e marginale.
Le esperienze cruente della seconda guerra mondiale, l'occupazione tedesca, la guerra civile e la resa finale dei conti non inficiarono sostanzialmente le storiche relazioni tra Chiesa e fedeli. Nelle città litorali e, soprattutto, nell'entroterra, il clero - salvo rare eccezioni - si schierò quasi sempre in difesa degli abitanti, qualunque fosse la loro scelta di parte. Molti preti furono arrestati, imprigionati e fucilati dalle truppe di occupazione o dai militi della Repubblica di Salò.
Le elezioni del 1948 videro nel Ponente una larga maggioranza favorevole alla Democrazia Cristiana (56% ca.) con il blocco dei vari partiti socialisti e comunisti al 37% circa. La Chiesa scelse di appoggiare e di appoggiarsi, tanto da diventarne quasi un sinonimo, alla Democrazia Cristiana con cui condivideva la collocazione internazionale e la politica anti-marxista.
Questa scelta, vincente in prospettiva internazionale, nelle comunità del Ponente pose la Chiesa ed il clero, per la prima volta in secoli, in dura contrapposizione con parte dei fedeli: mai nella storia la comunità ponentina si era divisa così. Si dovette attendere il Concilio Ecumenico II, la caduta del muro di Berlino e l'imborghesimento del popolo meno abbiente per veder mitigate le mutue aggressività.
La Chiesa, comunque, aveva perso il suo ruolo di super partes ed il recupero di tale posizione è faticosamente in corso. Anche l'essenziale rapporto confidenziale del clero con il singolo fedele, sia per la carenza di sacerdoti, ma anche perché la struttura massiccia e verticale della Chiesa non lascia spazio all'evoluzione della storia, sempre in grado di inventare nuovi strumenti adatti a soddisfare nuove esigenze.
La presenza storica e libera degli ordini religiosi costituiva un valore aggiunto dell'offerta evangelica, ma è numericamente assente.
Effetti ben più devastanti sulla tradizionale vita civile, culturale e religiosa di tutto il Ponente è stato l'impetuoso succedersi degli avvenimenti postbellici passati alla storia come il "boom economico" degli anni cinquanta.
La diffusione dei mezzi d'informazione (televisione, giornali, periodici), le comunicazioni dirette e immediate (telefoni), i trasporti individuali (moto, auto) portarono nelle case di tutti realtà e opportunità prima neppure immaginabili. Fu allora che il fascino del benessere economico e della relativa gratificazione nell'acquisto di beni si fece attrazione irresistibile e insaziabile, tanto da divenire, in breve, lo scopo stesso del vivere.
I giovani dell'entroterra, ormai sciolti dagli antichi vincoli, si resero subito conto delle opportunità: lasciarono senza rimpianti le loro consenzienti famiglie, dimenticarono le campagne, le storiche consuetudini per godere, anche loro, finalmente, l'eccitazione del vivere vite avventurose. Dietro di loro lasciarono situazioni disagiate, vecchi soli e cali demografici definitivi.
Sulla costa, la transizione fu più positiva: nuove costruzioni come funghi, ovunque e comunque, ricchi turisti, sviluppo commerciale, ricchezze pronte e veloci, nuova gente. Bastava esserci.
Il vernacolo locale (e la sua insita cultura) non si parlò quasi più, neppure nelle famiglie autoctone.
Il benessere includeva un sistema di assistenza sociale e sanitario onnicomprensivo, pubblico, di buona qualità, assolutamente aconfessionale. L'assistenza ospedaliera, cui gli ordini religiosi femminili avevano fornito i servizi infermieristici, presto fu gestita da personale laico, professionalmente preparato ed aggiornato.
La Chiesa, nei centri più popolosi, mantenne e mantiene, con impegno, i servizi essenziali: offre chiese aperte, oratori giovanili, qualche scuola, associazioni sportive, attività assistenziali volontarie (San Vincenzo, Caritas).
Nelle piccole comunità dell'entroterra la situazione religiosa evidenzia, invece e chiaramente, una profonda divaricazione con la realtà appena descritta. Quanto ancora rimane di pratica religiosa trova ragione più nell'attaccamento popolare alla tradizione piuttosto che ad una fede costantemente alimentata, viva e giovane. Nella società ponentina si constata in modo evidente una crescente irrilevanza della cultura cristiana.
Coscienti di questo stato di cose, aggravato dall'arresto delle vocazioni, i vescovi trovano - per presenziare almeno alle celebrazioni liturgiche più importanti - sacerdoti coraggiosi spesso provenienti da altre città e da paesi stranieri. Indubbiamente si rileva un favorevole e crescente senso di appartenenza, non sempre tradotto, specialmente dai giovani, nel frequentare le varie pratiche religiose.
L'opera di evangelizzazione nei confronti dei nuovi abitanti non è evidente, almeno al momento. Molti, comunque, silenziosamente attendono una Buona Novella - antica e nuova - ancora capace di stupire, comunicata in un linguaggio corrente ed in grado di ricreare una collettiva fiducia nel futuro.
Un povero frate testimoniava il suo credo chiedendo che la lampada fosse rimossa dai polverosi antichi arredi e rimessa là dove risplendere.
Diventa legittima oggi la domanda: "Se il Dio che consolava l'uomo creato e sacrificato a un'esistenza di stenti indescrivibili e a morti inaccettabili razionalmente, questo stesso Dio è ancora efficace quando la fatica ed il dolore fisico non esistono più, il superfluo domina ogni scelta ed ogni bisogno privato è coperto dalla pubblica assistenza?"
La realtà mostra chiari segni che l'umanità del Ponente ricerca nuovi sostegni (impalpabili, spirituali?) per contrastare il suo disagio esistenziale. Ritorna il messaggio cristiano vissuto nei borghi dell'entroterra per secoli di cui faceva parte non solo la salvifica parola di Dio, ma anche l'assordante silenzio di Dio?
The British Psychological Society definisce questo stato d'animo come "l'anoressia del futuro".
La società civile, responsabilmente, si è resa conto del problema e ha reso disponibili pubbliche strutture e servizi medico scientifici presenti capillarmente. Sono molti anche gli studi privati che praticano metodi di "spiritualità meditativa", normalmente d'ispirazione orientale.
Per gli abitanti delle piccole comunità dell'entroterra è comune terapia l'uso di psicofarmaci. Diverse erano state le previsioni e le speranze. Nessuno immaginava che un futuro di benessere economico come quello di oggi, a confronto con l'indigenza crudele di ieri, avrebbe mai potuto essere prodromo di un'alienazione collettiva profonda. Quest'alienazione l'ha vissuta anche la Chiesa. Il suo cammino di ricomposizione è impervio e innovativo: dalla centralità delle vecchie norme comportamentali alla centralità dello spirito che parla al popolo di Dio.
Il priore di un'antichissima e gloriosa confraternita confidava ai confratelli i suoi ambiziosi progetti: "Il fuoco cova sotto la cenere! Ci siamo noi, risorsa evangelica amata da tutti; viviamo un cammino di fede in Dio, con il popolo e con la chiesa, siamo indipendenti, manteniamo con i nostri contributi i nostri luoghi d'incontro e di culto, siamo presenti nelle opere di assistenza e carità, eleggiamo i nostri "priori", non ci distinguiamo per censo, erudizione, opinioni politiche ed età".
Questo patrimonio della storia religiosa del Ponente è rimasto un racemo, dimenticato da vendemmiatori frettolosi? Eppure, è anche in queste antiche ed attuali testimonianze di spiritualità popolare che si respira l'identità del Ponente Ligure, un dono ai contemporanei.
*Era anziano quel prete e poeta delle valli che aveva capito il valore del dono della vita di fede e il limite dei codici. Così pregava: "Alle volte, nelle notti tempestose, si devono mollare gli ormeggi e liberare le flotte sfidando l'uragano in mare aperto. È allora che Gli chiedo: perché non prendi il timone della nave capitana? La ciurma già agita le lanterne verso le stelle. L'uno per l'altro, navigheremo insieme verso l'alba, rompendo la cortina che ci separa dal sole".