Prelà

Altitudine: m 175 s.l.m.

Superficie: km2 15

Distanza da Imperia: km 11

Abitanti: nel 1881 2180 - al 2017 494

Festa patronale: 24 Giugno - San Giovanni Battista

Informazioni: Comune tel. 0183 282487


Il nome di Prelà deriva dal termine "pietra lata" (pietra larga) con cui era denominato il vasto roccione su cui nel 1150 i Conti di Ventimiglia costruirono il castello.

Nella seconda metà del 1200 la castellania di Prelà viene divisa in due: Prelà Superiore con il castello che rimane ai Conti di Ventimiglia mentre Prelà Inferiore passa ai Grimaldi che nel 1333 la vendono ad Antonio Doria signore di Oneglia.

Dopo varie altre vicende finalmente nel 1455 avviene la riunificazione sotto il conto Tebaldo Lascaris di Tenda i cui successori venderanno, nel 1579, il feudo a Emanuele Filiberto di Savoia che ne conserveranno poi sempre il dominio.

Visita al Borgo

Dalla provinciale prendiamo a destra la deviazione che entra in paese e, superata a sinistra la barocca chiesa di San Giacinto con variopinto altare, proseguiamo oltre il palazzotto giallo con meridiana al 43 per arrivare alla quattrocentesca chiesa di San Giovanni Battista del Groppo.

La facciata, in pietra a vista in parte intonacata, è preceduta dal porticato cinquecentesco retto da due slanciate colonne ottagonali in pietra intagliata con motivo a trecce verticali; sotto la sua volta a crociera si apre il portale, sormontato dal rozzo affresco del 1552 "Decollazione di San Giovanni Battista" di Johannes Cangiasius de Porcifera.

Lungo il fianco sinistro della chiesa corre uno stretto porticato da cui si alza il campanile in pietra squadrata, con bifore alla cella campanaria decorate da archi pensili.

Sull'abside esterna destra è murato un architrave intagliato qui trasferito dalla demolita chiesa di San Luca fuori dall'abitato; dalla stessa chiesa proviene il monolitico fonte battesimale in massiccia pietra ottagonale, qui montato su pilastrino intagliato con Agnus all'interno a destra dell'ingresso ed usato come acquasantiera.

La chiesa è a tre navate con volte a botte, divise da basse colonne in pietra con capitelli intagliati a rosette che reggono archi a sesto acuto; a sinistra dell'altar maggiore è conservato il polittico "Santi Sebastiano, Giovanni Battista e Rocco", di Agostino Casanova, del 1547; a destra c'è una anonima tela con la "Deposizione".

Nella colonna a sinistra dell'altar maggiore è stato ricavato l'armadietto per gli oli santi in pietra nera con tettuccio, intagliato con un "Ecce Homo" ed altri bassorilievi d'epoca rinascimentale.

Il vicino portale che immette in sagrestia, del 1519, è intagliato nell'architrave a Trigramma con lettere R S B C, affiancato dallo scudo araldico dei Signori di Maro e Prelà (croce barrata) a sinistra e da quello del Gran Bastardo di Savoia (leone rampante con spada) a destra.

La sagrestia conserva un armadio in noce intagliato; sul pavimento sono diverse lapidi mortuarie settecentesche fra cui quella del 1777 con la denominazione originale della chiesa "S. JOHANNES BAPTISTAE DE GRUPPO".

Di fronte alla chiesa sorge il barocco oratorio di Santa Maria Maddalena ormai in abbandono, e a destra dell'abside la Cappella delle Figlie di Maria eretta nel 1851.

Ripresa l'auto proseguiamo verso monte e superato il frantoio a destra del ponte raggiungiamo dopo un chilometro e mezzo Costiolo, detto anche "Cà dei Fenocchi", dove rimangono all'inizio del borgo, a sinistra sopra la strada, i ruderi dell'antico ospizio dei viandanti.

Saliamo a piedi la breve rampa che ci porta al piccolo oratorio della Vergine Assunta, fatto erigere nel 1265 da Guglielmo Fenocchio e poi interamente ricostruito in epoca barocca; della struttura originaria è rimasto l'architrave monolitico intagliato con una "Annunciazione" oggi murato all'interno a destra dell'altar maggiore.

Il pugno di case che costituisce l'abitato denuncia evidenti segni di abbandono: proseguendo a piedi di un centinaio di metri voltiamo a sinistra e fatti pochi passi siamo davanti ai resti della torre di difesa turco barbareschi ormai interamente crollata, di cui rimane solo la base quadrangolare ed un arco che si appoggia all'adiacente casa abbandonata, dal cui portone si intravvedono altre case agricole in degrado.

Risalendo il sentiero a destra troviamo dopo un centinaio di metri una edicola barocca, poco oltre la quale sono i ruderi medievali del primitivo nucleo abitato.

Ripresa l'auto, al bivio proseguiamo dritti ed attraversiamo poi Tavole superando il barocco oratorio di San Carlo fronteggiato dalla fontana con abbeveratoio e fiancheggiato dalla casa al 15 con una meridiana, fino alla rampa in cemento a sinistra che ci porta al sagrato della chiesa di Sant'Annunziata interamente ricostruita nel 1735.

L'edificio originario, intitolato a San Agostino, risale al Quattrocento, epoca di cui è rimasta la parte bassa del campanile fino alla cella campanaria, con archetti pensili a tutto sesto ed una feritoia.

Alla costruzione originaria appartiene anche il monolite murato sopra l'ingresso, intagliato con una "Annunciazione" e Trigramma, sopra cui è murata un'altra lapide scolpita con semplice Trigramma; a sinistra della scalinata antistante la chiesa sono pezzi di colonna ed un capitello, altri due sono all'ingresso del sagrato ed una pietra intagliata ad archi pensili è murata sopra la balaustra a destra.

L'interno custodisce sopra l'altar maggiore una "Annunciazione" di Francesco Carrega; a destra c'è l'anonima statua lignea policroma di Santa Margherita del XX secolo di Santa Marta, e nella cappella accanto il polittico con fondo in oro recentemente restaurato "La Madonna del Soccorso" di Agostino Casanova del 1537; nel terzo altare a destra sono conservate dietro la tenda le ossa di San Felice, Santa Costanza e Santa Vittoria.

La chiesa ospita oggi anche la massiccia cassa da processione "La Vergine e i Turchi", realizzata nel 1888 dallo scultore romano Antonio Biondi, che rievoca la vittoria dei Cristiani nella battaglia di Lepanto (1571).

La Madonna tra due angioli blocca nella mano destra sollevata una palla di cannone; ai suoi piedi due "Turchi" incatenati chiedono pietà.

Il pesante basamento che regge questo gruppo è sostenuto da grandi aquile ed angioli, a loro volta poggianti su di un massiccio cassone dalle pareti intagliate con scene della battaglia.

Quando la monumentale opera giunse a Tavole fu necessario allargare alcune strade per potercela poi portare in processione; e fu anche costruita, nel 1908, la cappella addossata alla facciata della chiesa destinata appunto a conservare il gruppo scultoreo.

Dalla chiesa possiamo salire la rampa che lungo via Revelli ci porta alla omonima cappella a sinistra della casa dei genitori di San Benedetto Revelli (829-900), nato poi a Taggia dove la famiglia si era trasferita.

Tornando indietro, passati sotto il voltone ad archi a sesto acuto prendiamo il sentierino a destra raggiungendo in pochi minuti la frazione di Novelli, con le sue case arcaiche in parte abbandonate.

Nella cappella di San Rocco è conservata la statua in legno del santo, recentemente restaurata, del 1611.

Da qui sale a destra la mulattiera che in mezz'ora ci porta alla chiesetta della Trinità che sorge a Cian di Sella in piena campagna, circondata su tre lati da un robusto muraglione.

Ripresa l'auto continuiamo a salire fino a raggiungere Villatalla, proseguendo sulla rampa con mattoni fino al parcheggio da cui a piedi andiamo a destra al sagrato della chiesa di San Michele, costruita nel 1470 e poi rifatta in forme barocche dopo che nel 1671 un fulmine colpì il campanile che crollò sul tetto, demolendolo.

Della chiesa originaria sono rimasti l'architrave in pietra nera della facciata scolpito con un Agnus, la parte bassa del campanile con feritoie, la rustica vasca battesimale ottagonale in pietra conservata nel sagrato ed i pezzi di colonna riusati come sedili lungo la parete esterna.

Sul fianco sinistro si apre la finestra ad arco ogivale in pietra della sagrestia; all'interno, a destra dell'ingresso laterale, è conservato il polittico della prima metà del Cinquecento "Madonna e Santi" di Agostino Casanova.

Tornati allo slargo su cui sorge il barocco oratorio di San Giovanni Evangelista riprendiamo l'auto e seguiamo le indicazioni per il "bocciodromo del bosco" fino a raggiungere, in meno di un chilometro, lo spiazzo erboso in mezzo al castagneto su cui sorge la Cappella della Madonna della Neve del 1521, di cui vediamo arrivando l'abside traforata in alto da un piccolo rosone in pietra a quattro raggi.

L'architrave monolitico in facciata venne scolpito da Petrus Aicardus con al centro la Vergine e Bimbo, ai lati due angioli ed a destra San Bernardo che tiene alla catena il suo scimmiesco diavoletto; sopra è murata un'altra lapide rettangolare intagliata con l'immagine delle Madonna cui la cappella è dedicata.

Rientrati sulla provinciale discendiamo a valle fino ad incontrare a destra la deviazione che ci porta a Valloria (Da "Vallis aurea"), dove parcheggiamo sulla piazza antistante la chiesa dei santi Gervasio e Protasio fronteggiata dagli archi in pietra che ospitano la bella fontana con abbeveratoio ed edicola con Madonnina.

La chiesa originaria venne costruita nel Quattrocento, epoca di cui sono rimaste le basi delle colonne davanti agli ingressi di due abitazioni di cui quella al civico 2 ha anche un architrave del 1520 scolpito con una "Annunciazione" e fregi floreali; un altro architrave assai più semplice intagliato a Trigramma è al civico 3, visibile sporgendosi oltre il muricciolo della piazzetta.

La chiesa venne rifatta in barocco nel 1729; all'interno conserva il suggestivo polittico "Madonna e i santi Pietro e Paolo" di Agostino Casanova e Stefano Adrechi del 1523.

Immediatamente a monte della chiesa c'è l'oratorio di Santa Croce la cui facciata, inquadrata fra due colonne appartenenti alla vecchia chiesa, ha l'architrave monolitico datato 1656; da qui risalendo la rampa sopra la fontana e prendendo a sinistra, poi a destra e poi ancora a destra si raggiunge in trecento metri di sentiero campestre la piccola barocca cappella di San Michele.

Notevoli le porte dipinte. Molte e molto belle, alcune anche di pittori di chiara fama.

Ripresa l'auto torniamo alla provinciale, riattraversiamo Molini e al bivio prendiamo a destra, osservando a sinistra i mulini che diedero il nome al paese ed in cui si macinava il grano con mole in pietra durissima fatte arrivare addirittura da Bruxelles; sulla destra c'è il ponticello medievale a due arcate.

Pochi chilometri dopo raggiungiamo Dolcedo.