Altitudine: m 77 s.l.m.
Superficie: km2 19
Distanza da Imperia: km 9
Abitanti:
- nel 1881 2703
- al 2017 1450
Festa patronale: 2 Settembre - Santa Maria Addolorata
Informazioni: Comune tel. 0183 280004
Principale centro della Val Prino, Dolcedo fu feudo dei Marchesi di Clavesana fino al 1228 quando venne venduta a Genova; assieme a Torrazza e Porto Maurizio dette poi vita, con la qualifica di "Terziere di San Tommaso", ad un Comune unico che ottenne l'autonomia nel 1613 pur restando sempre sotto il dominio genovese.
Visita al Borgo
Superato il ponte parcheggiamo nello slargo a sinistra di fronte all'alta facciata a due campanili e portale in marmo del barocco oratorio di San Lorenzo.
Da qui passando tra il pino ed il cipresso percorriamo a piedi il lungofiume destro per una visita alla zona dei frantoi cui il paese deve la sua passata fortuna: l'abbondanza d'acqua fornì infatti l'inesauribile forza motrice che fece della Dolcedo dei secoli scorsi un attivissimo centro protoindustriale della frangitura delle olive, attività di cui troveremo frequenti tracce in tutto l'abitato.
Dietro la cancellata a destra vediamo appunto, qui trasferita dai locali sottostanti, la classica macina ad arcaici ingranaggi in legno, ed appoggiate sul ciglio della strada le grandi mole prelevate dalle costruzioni alla nostra destra, tutti frantoi alimentati dall'energia idraulica del sottostante torrente Prino.
Passati sotto il volto giriamo a destra e percorriamo il Ponte dei Cavalieri di Malta realizzato nel 1292 in una sola grande arcata in conci di pietra squadrati, al cui termine è murata nella spalletta destra la lapide che ne ricorda la data di costruzione, e da cui vediamo tra le case di fronte la mole quadrangolare in blocchi di pietra squadrata della quattrocentesca Torre Mameli dalle sporgenti mensole in pietra; il fortilizio è stato poi adattato ad abitazione.
Attraversato il ponte facciamo qualche passo sulla destra fino ad arrivare al loggiato, da cui possiamo vedere sulla sponda opposta del torrente le grandi ruote in ferro dei frantoi cui l'acqua dava movimento; proseguendo troviamo poco più avanti a sinistra la finestra-porta di un'antica bottega.
Torniamo indietro sul lungofiume superando l'altra finestra-porta all'angolo col ponte medievale e quindi, fra al civico 84 e al civico 86, l'architrave in pietra nera del 1494 intagliato con Trigramma in un tondo decorato da rosette ai lati; dal ponte in ferro che poi imbocchiamo vediamo più a monte il secondo ponte medievale che scavalca il Prino, la cui sponda destra conserva qui a valle l'intricata successione di archi che reggono scale, trogoli e condotte d'acqua per i frantoi, mentre su quella sinistra si aprono, rustiche o abbellite da colonne, le altane del borgo medievale.
Attraversato il ponte seguiamo la strada asfaltata transitando di fronte all'abside della parrocchiale che sorge direttamente dal greto del torrente e, tenendoci a sinistra, passiamo sotto il volto dove possiamo osservare da vicino una delle tante condotte d'acqua al servizio dei frantoi.
Attraversato poi a guado il torrente e saliti sulla sponda opposta prendiamo a destra risalendola per un centinaio di metri fino all'altro bel ponticello medievale che ci porta ad un frantoio di cui vediamo da qui le grandi ruote oltre gli archi ogivali sul torrente; l'energia idraulica era fornita dalla condotta d'acqua, controllabile attraverso le basse finestrelle d'ispezione, che passa sotto le case una ventina di metri a sinistra dopo il ponte.
Torniamo indietro proseguendo sul lungofiume destro fin oltre il volto che ci riporta nel borgo e scendiamo quindi a sinistra nella suggestiva piazzetta della chiesa di San Tommaso.
Nel corso del Trecento il paese visse un periodo di agiatezza economica con tutte le ville fornite di botteghe, negozi e macelli.
Nel quartiere Piazza fiorivano le attività commerciali con banchi e magazzini, dove si vendevano cuoi di Barberia, vini, cordami e panni per abiti da lavoro.
Tra questi era particolarmente pregiato quello molto resistente denominato (con termine entrato nei dialetti liguri dalla lingua araba) arbaxo o arbasino, fatto con lana del posto, per la cui produzione era rinomata la ditta Gazzano.
L'antica chiesa originaria, di cui è conservato ai piedi della scala a sinistra un tronco di colonna, venne venduta nel 1103 dal vescovo di Albenga ai monaci di Lerino che qui si trasferirono diffondendo nella vallata la coltura dell'ulivo cui tanto deve il paese; subì una prima trasformazione nel 1320, altri rimaneggiamenti nel tardo Quattrocento ed infine il rifacimento del 1738 che ha sovrapposto alle strutture romanico-gotiche originarie i caratteri tipici del barocco ligure.
Nel bel portale in pietra nera del 1492 l'architrave, sormontato dal grande arco ogivale in pietra nera, è intagliato a Trigramma fra due rosette per lato mentre gli stipiti, affiancati da pilastri anch'essi in pietra nera intagliata, sono lavorati con un motivo a treccia; il baldacchino sostenuto da due sottili colonne in pietra nera, aggiunto nel rifacimento settecentesco, integra in un complesso miracolosamente armonico ed equilibrato le severe strutture tardo-medievali originarie con le ricche decorazioni dai delicati toni verde giallo e rosa del barocco.
L'interno è a croce greca con profonda abside centrale; le decorazioni delle prime cappelle ripetono la delicatezza dei toni della facciata, ma più avanti e nell'abside il restauro del 1860 spara ori squillanti su pesanti blu mare sconvolgendo ogni equilibrio.
Nella seconda cappella a destra è custodito il seicentesco "Martirio di San Pietro" di Gregorio De Ferrari da Porto Maurizio; la cappella centrale a sinistra cela dietro un pannello la settecentesca statua in cera in grandezza naturale di San Prospero in divisa da soldato romano, mentre in quella successiva c'è l'anonima tela cinquecentesca "Martirio di San Tomaso col Bambino Gesù".
Usciti dalla chiesa attraversiamone il sagrato ciottolato da cui, superato il portone che curiosamente ne chiude l'accesso, sbocchiamo nella Loggia Municipale in cui protetto da un tettuccio si apre a sinistra un portale in pietra nera con architrave intagliato a Trigramma in un ovale e stipiti decorati a semplici motivi geometrici.
Qui si è conservato l'unico Banco della Ragione perfettamente intatto di tutto il Ponente: murate a terra a destra sono le due massicce vaschette in marmo misure ufficiali di capacità a sinistra per l'olio e a destra per il vino, realizzate nel 1613 in occasione della costituzione del borgo in libero Comune, completate dalle coeve misure di lunghezza, la "canna" e la "cannella" in asticciole di ferro murate a sinistra.
Alla fine della loggia sono infissi a terra due tronchi di colonna in pietra nera della chiesa originaria; da qui saliamo la rampa a destra e alla lapide intagliata con Trigramma fra calici di fiori stilizzati murata nella casa di fronte prendiamo a sinistra, oltrepassiamo tre finestre-porta quasi contigue e l'altra poco più avanti, scendendo poi per la gradonata a sinistra retta dal volto che ospita la fontana con marmi e muso di leone in pietra, da cui torniamo all'auto.
Attraversata in auto questa piazzetta al bivio con la via per Imperia svoltiamo a destra raggiungendo così poco dopo il barocco oratorio di San Carlo.
La rustica costruzione ha un piccolo porticato su pilastri e campaniletto a vela a sinistra della facciata; le pareti interne sono interamente occupate dagli scranni in legno intagliato su cui sedevano i membri della Confraternita dei Neri, titolari dell'oratorio.
Proseguendo in auto arriviamo dopo un chilometro a Costa Carnara dove, parcheggiato in strada, possiamo salire per via Ruffini fino alla parte più alta del borgo; accanto alla barocca chiesetta di San Jacopo Maggiore con semplici stucchi in facciata sorge la quattrocentesca torre di difesa dai turchi barbareschi che conserva in alto le feritoie quadrangolari ed ormai solo più su un lato le mensole in pietra che reggevano le caditoie ora scomparse.
Ripresa l'auto continuiamo a salire raggiungendo Castellazzo alla fine del cui nucleo abitato si distacca a destra la ripida discesa in cemento che in cento metri ci porta alla chiesetta dell'Annunziata del primo secolo dopo il Mille.
Nella facciata con portichetto, interamente rifatta in barocco, è murata una lapide intagliata a Trigramma in un tondo decorato a treccia e motivi floreali fiancheggiato da un angiolo ed un albero per parte; la parete destra è mascherata dal piccolo convento delle Suore di Santa Maria di Caramagna ora in abbandono che vi è addossato, mentre quella sinistra conserva la piccola monofora, originaria come le altre due dell'abside poi traforata dai quadrati finestroni del restauro barocco.
Notevole all'interno l'arcaica acquasantiera in pietra.
Quasi di fronte alla chiesetta si distacca la stretta rampa cementata che in meno di un chilometro porta alla romanica chiesetta di Sant'Antonio Abate, immersa fra gli ulivi.
Tornati alla provinciale continuiamo a salire; non appena superato l'incrocio per Case Boeri possiamo fermarci un attimo sul breve rettilineo per andare ad osservare da vicino il pozzo medievale che si trova a sinistra a cinquanta metri dalla strada nello spiazzo erboso coltivato ad olivi.
L'arcaica struttura si allarga verso il fondo; incorporata nel muricciolo a destra è la canaletta che portava l'acqua al vicino grande trogolo ormai in disfacimento.
Proseguendo in auto arriviamo a Bellissimi dove sorge sopra il ciglio della strada la chiesetta di Santa Maria della Misericordia con fontanella nel terrazzino antistante; di fronte c'è il piccolo oratorio omonimo, eretto nel 1864 in segno di riconoscenza per lo scampato pericolo del colera che infettò il borgo quell'estate ma non fece neanche una vittima.
Da Bellissimi la strada prosegue fino a Lecchiore, un chilometro e mezzo oltre la quale sorge il Santuario della Madonna dell'Acqua Santa fronteggiato dalla cappella con la statua della Vergine; chi vuole proseguire verso il bosco può risalire il torrente fino alla zona dei laghetti.
Tornati a Bellissimi prendiamo sulla destra la strada che ci porta a Trincheri con la chiesetta di Santa Lucia decorata da finte colonne in facciata; continuando a salire raggiungiamo in meno di due chilometri lo spiazzo panoramico su cui sorge la romanica cappella di Santa Brigida.
La rustica costruzione in pietra grezza venne fatta erigere nel 1425 dai massari Dominicus Sasius e Dominicus Ascheri; ce lo ricorda l'iscrizione intagliata in una pietra dello stipite sinistro del portale con arco a sesto acuto e scarso tettuccio, scolpito nell'architrave con la croce di Malta.
Ai lati della porta due maghi-custode, maschio a sinistra e femmina a destra, vegliano l'ingresso controllando dall'alto chi entra; la protezione è completata sul lato opposto della cappella dall'altro mago-custode scolpito nel peduccio dell'archetto pensile al centro dell'abside esterna.
Nella parete destra, accanto allo spigolo anteriore, è murata la gronda in tubi di terracotta che finiva all'interno, alimentando una vasca di raccolta poi scomparsa.
Parte della parete destra e l'intera abside sono decorate nel sottotetto con archetti pensili a peducci intagliati; il tetto è a "ciappe" su volta a botte.
Sull'architrave della porta laterale destra in pietra squadrata è intagliato un grande e rozzo Agnus ed una croce è scolpita in una pietra del suo stipite sinistro; da qui accediamo all'interno, a navata unica pavimentato in lastricato molto rozzo.
Un sediletto in pietra corre lungo le pareti anche oltre il massiccio ed alto muretto con varco centrale che divide l'aula dall'abside, arricchita questa da affreschi quattrocenteschi in parte deteriorati che rappresentano in alto la grande figura di Santa Brigida e nella fascia centrale i dodici apostoli.
Tornati indietro fino a Dolcedo, al bivio all'inizio dell'abitato prendiamo a destra la strada per Imperia raggiungendo così dopo due chilometri e mezzo l'abitato di CLAVI dove imbocchiamo a destra la deviazione che sale a Torrazza.
Parcheggiato dopo poche centinaia di metri raggiungiamo a piedi la sovrastante romanica chiesa di San Giorgio, fra le più antiche del Ponente: la chiesa originaria venne infatti consacrata il 19 maggio 1001.
Nei secoli successivi la costruzione, che conserva l'originaria copertura a capriate, fu ampliata con l'aggiunta della navata sinistra, realizzata con pilastri quadrangolari che reggono archi a tutto sesto; il portale d'ingresso originario, sulla facciata che conserva il piccolo alto oculo, venne murato e sostituito da quello attuale aperto sul fianco destro accanto al campanile.
Originaria è anche l'abside in pietra squadrata, decorata da archetti con lesene sormontati da doppia dentellatura nel sottotetto; ha tre monofore strombate, ed altre analoghe si aprono nelle due pareti.
Il campanile con meridiana è originario nella parte più bassa, con feritoia che ne denuncia l'uso militare; all'interno della chiesa non sono conservate opere di rilievo.
Tornati all'auto continuiamo a salire raggiungendo dopo un chilometro Torrazza dove parcheggiamo all'inizio dell'abitato nella piazzetta con fontanella a vasca in pietra.
Salendo a piedi lungo la rampa cementata a sinistra passiamo accanto alla nicchia nella cui volta è murata una grossa pietra con foro quadrangolare, scarico delle acque del sovrastante frantoio oggi in disuso.
Passati sotto il volto prendiamo subito dopo a destra superando l'edicola con la Vergine dal cuore trafitto da sette spade e la scritta "Atendite videte si est dolor sicut dolor meus" (Fermatevi e guardate se c'è un dolore simile al mio) e, salita la gradonata a sinistra, passiamo sotto il volto con a destra feritoie oggi allargate in finestrini; era questa una porta di accesso al borgo, protetta a destra a fine volto dalla sovrastante torre, poi rimaneggiata in abitazione, che conserva in alto le mensole delle scomparse caditoie.
Siamo così sboccati nella piazzetta su cui sorge l'oratorio di San Giovanni, decorato con meridiana e deteriorato affresco dello stemma municipale, da cui salendo la gradonata in cemento raggiungiamo il sovrastante piccolo sagrato della chiesa di San Gottardo con meridiana nel campanile e all'interno affreschi attribuiti al Carrega.
Da qui prendiamo a destra sotto i volti di via Prevosto, superando a sinistra un portale con stemma in marmo riproducente un cane, sormontato da due stelle, e giunti quasi alla fine della via giriamo a sinistra per via don Andrea continuando poi sotto i volti per andare a vedere, a fine volto a destra sopra il tettuccio in tegole al civico 4, la lapide ovale in marmo intagliata con Vergine e Bambino.
Saliamo ora a sinistra sotto i volti di via Pistone e dopo una ventina di metri prendiamo per il volto a destra sboccando fuori mura; superata la casa restaurata con meridiana moderna e colonnine in terracotta passiamo sotto il voltone che regge l'abside della chiesa di cui seguiamo il fianco sinistro.
Qui si apre il portale del 1547 ad architrave intagliato a Trigramma fra rosette, superato il quale prendiamo poi a destra per via Comune.
Allo slargo che la conclude prendiamo a destra la breve mulattiera che sale alla torre, preceduta dal piccolo oratorio barocco ormai in rovina di cui possiamo dare un'occhiata allo "spaccato" (è il caso di dirlo) della seicentesca copertura interna in listelli di legno intonacati.
La torre circolare che abbiamo di fronte, con feritoie quadrangolari e mensole delle scomparse caditoie, è un rifacimento quattrocentesco di quella più antica che diede nome al paese.
Dal varco aperto in basso vediamo l'interno del piano terra con a destra il vano della scala che portava a quello superiore; aggirata la torre saliamo la scaletta esterna che conduce all'alta porta originaria dove una lapide ci ricorda il saccheggio di Torrazza operato nel Cinquecento dal "turco" Hasan Kellj, braccio destro di Dragut.
Al piano superiore l'accesso dei difensori alle feritoie era consentito dal soppalco in legno che correva lungo tutto il perimetro interno su cui sono rimasti i fori per le travi di sostegno.
Tornando indietro proseguiamo dritti lungo il sentiero che ci riporta al sagrato della chiesa; giunti all'edicola possiamo prendere a sinistra, percorrere tutta la via e poi girare a destra per via Angelo, passando sotto i bui archivolti con pavimentazione in "picchi" (ciottoli) originari ed imboccando alla fine la gradonata in cemento che ci riporta all'auto.
Ridiscesi all'incrocio con la provinciale lasciamo l'auto e proseguiamo a piedi attraversandola e continuando sullo sterrato per visitare Clavi, nucleo originario di Torrazza.
Passiamo così davanti alla torre inglobata nelle abitazioni che conserva le feritoie quadrangolari e le mensole delle perdute caditoie e proseguiamo a destra sotto il basso volto scendendo fino al vecchio frantoio in disuso.
Poco oltre ci sorprende il civettuolo giardino arredato con elementi del frantoio fra cui diversi monoliti base del torchio; proseguendo ancora verso il fiume, scesa la scaletta a sinistra ci aspetta una fontana con vasca in pietra e mascherone intagliato.
Tornati un poco indietro prendiamo il sentierino a sinistra raggiungendo l'altra fontana con vasca semicircolare in pietra e l'annesso lavatoio anch'esso con vasche in pietra; da qui prendiamo a sinistra la rampa in cemento che, superata la casa con finestra ad arco attraverso cui vediamo le colonne della scala interna, ci porta sulla sponda del minuscolo laghetto.
Qui a destra c'è il duecentesco ponte romanico a due arcate asimmetriche, con spallette in pietra lavorata ad arco ogivale, attraverso cui raggiungiamo l'abbandonata barocca chiesetta di San Martino, già dipendente dai monaci benedettini dell'isola Gallinara di Albenga.
L'interno del piccolo edificio, che conserva tracce di affresco in facciata, è interamente spoglio; lungo le pareti corre il basso sediletto in pietra, mentre al centro si è conservato lo scalino che secondo l'uso arcaico divide l'aula in due zone di cui quella posteriore riservata ai catecumeni.
Torniamo indietro risalendo la rampa in cemento che ci riporta all'auto; proseguendo lungo la provinciale dopo un chilometro arriviamo all'abitato di Piani dove imbocchiamo a destra via Principale al termine della quale parcheggiamo.
Proseguendo a piedi, giunti allo slargo saliamo a destra prendendo poi a sinistra al termine della salita: di fronte a noi sorge la deturpata torre con feritoie quadrangolari e mensole delle perdute caditoie, eretta a difesa della sottostante porta attraverso il cui arco in pietra ci inoltriamo nel borgo.
All'incrocio segnato dalla piccola edicola, osservata a destra la casa arcaica che conserva davanti a una finestra le due mensole in pietra a reggere la "ciappa" per il vaso di fiori, prendiamo a sinistra la gradonata sotto il basso volto con all'inizio a destra tracce dell'antica gronda in tronchi di cono di terracotta; al termine dell'archivolto, a sinistra nello spigolo in alto di salita Centrale c'è una piccola edicola con statua in marmo di Vergine e Bambino.
Prendiamo a destra e subito dopo l'architrave in pietra intagliata con Trigramma e la scritta "Giesu mio misericordiae" al civico15 superiamo la sporgenza di un arcaico camino coperto con "ciappa" e, passati sotto il basso volto, prendiamo a sinistra; superato l'altro volto sbocchiamo così nello slargo con a destra il pozzo ottocentesco con pompe meccaniche e vasca in pietra.
Proseguiamo per la stretta via e all'incrocio prendiamo a sinistra sotto il volto di salita Centrale; all'incrocio successivo prendiamo a destra sotto i volti di via Archi, archi che appunto puntellano in alto le case in pietra del vicolo al termine del quale voltiamo a sinistra a riprendere l'auto.
Tornati alla provinciale percorriamone circa trecento metri parcheggiando poi nello slargo a destra a fianco della chiesa di Santa Maria Assunta.
La chiesa è di origine antichissima, ed ottenne già attorno al Mille il riconoscimento, allora assai raro, di sede battesimale per l'intera valle del Prino; citata nel 1103, fu dapprima sede dei monaci Benedettini per passare poi sotto i cavalieri di Malta.
Nel Settecento la costruzione fu rimaneggiata e "capovolta": il nuovo portale di ingresso venne aperto nella vecchia abside, che conserva all'esterno gli archetti pensili con croce di Malta intagliata nei peducci e la bifora originari, mentre le tre navate a colonne in pietra vennero unificate e l'abside oggi a sinistra dell'ingresso principale trasformata nella cappella battesimale che conserva tuttora le colonne in pietra della struttura originaria.
Particolarmente interessanti sono gli affreschi delle absidi eseguiti nella seconda metà del Quattrocento da Tomaso Biazaci da Busca.
In quella centrale (oggi ingresso principale) sono in alto le "Scene della morte della Vergine" che seguono la tradizione dei Vangeli apocrifi, molto popolari nel Medio Evo, ed in basso la "Sfilata delle Sibille" del 1488; in quella laterale, oggi cappella battesimale, gli affreschi di poco posteriori (1491) raffigurano gli Evangelisti e scene del martirio di San Lorenzo, battuto, flagellato con uncini di ferro ed infine arso vivo sulla graticola.
Nell'abside centrale ciascuno dei due spigoli in alto è affrescato con un grande viso sogghignante che riproduce, in una inedita veste pittorica quasi carnevalesca, l'arcaica scultorea tradizione dei pagani maghi-custode ubicati appunto sempre in alto sugli stipiti delle porte a controllare chi entra e a spaventare col loro ghigno gli spiriti malefici.
L'altare di fronte all'ingresso laterale conserva, oltre che il seicentesco anonimo polittico con storie della vita della Madonna, la veneratissima statuetta in legno della Santa Vergine; a questo altare venne nel 1704 ad inginocchiarsi scalzo per un mese di seguito anche San Leonardo da Porto Maurizio finché, miracolato del suo male ai polmoni, poté avviare il suo ciclo di ben trecentosessantasei predicazioni.
A ricordarci i privilegi ecclesiastici e l'importanza di questa chiesa è murata all'esterno a sinistra del portale la lapide del 1636 che concede "perpetua immunità reale e personale a tutti quelli che concorreranno alla fiera di questa chiesa solita farsi il 15 agosto, che non possano in alcun modo essere detenuti né pignorati per i giorni 14-15-16 di detto mese agosto".
Riprendiamo l'auto e discendiamo a valle; superato il ponte, al grande slargo con crocevia prendiamo a destra, raggiungendo così la via Aurelia in regione Prino di Porto Maurizio.
Immediatamente a levante dell'abitato di San Lorenzo si stacca sul lato monte della via Aurelia la strada che salendo tra gli ulivi ci porta in tre chilometri a Civezza.