Altitudine: m 12 s.l.m.
Superficie: km2 31
Distanza da Imperia: km 20
Abitanti: nel 1881 4494 - al 2017 14060
Festa patronale:
12 Febbraio - S. Benedetto
Informazioni: Comune tel. 0184 476222
Il primo insediamento di Liguri sul mare e sulle sponde del Tavia fluvius (oggi torrente Argentina) è già segnalato nel II secolo d.C. sull'Itinerario Provinciarum attribuito ad Antonino Pio, ed individuato poi sulla Tavola Peutingeriana (IV secolo d.C.) quale "Costa Bellene" corruzione romana dell'originario "Beleni" riferito al celtico dio Belen qui venerato.
Indifendibile però dalle incursioni dei Barbari, attorno al VII secolo la Tabia romana viene abbandonata e gli abitanti si trasferiscono sulla più sicura collina fondando Taggia.
Nel 1100 l'Imperatore di Germania infeuda il borgo ai marchesi di Clavesana che ne ristrutturano poi le possenti fortificazioni dell'Acropoli risvegliando però così le preoccupazioni degli "alleati" genovesi, che spianano la fortezza; ridimensionatene drasticamente le capacità di difesa, Genova può agevolmente esercitare il suo controllo su Taggia fino al 1498, quando il paese passa sotto Carlo VII re di Francia che lo venderà poi al Duca di Milano Francesco Sforza, da cui passerà poi definitivamente sotto il dominio dei Savoia.
Visita al Borgo
Arrivati ad Arma di Taggia percorriamone tutto il lungomare verso ponente e lasciata l'auto proseguiamo ancora a piedi per circa trecento metri fino ad incontrare la piccola grotta entro cui - sostituendo il più antico santuario - è stata realizzata nel 1625 la chiesetta di Maria Vergine, con due altari laterali a stucchi e quello centrale in marmo tarsiato, arricchito dalle statue della Madonna e di un angiolo. La volta della chiesa è quella stessa della grotta, in puddinga; sul portale è murata l'originaria lapide del 1625 sormontata da quella che ricorda i restauri del 1757 e del 1814.
Esattamente sopra la chiesetta sorge la possente quadrangolate Torre dell'Arma. La massiccia fortificazione venne eretta nel Cinquecento a baluardo sul mare contro i Saraceni dopo una devastante incursione nel 1564 del "turco" Luzzalino che dal suo covo presso Cap Ferrat portava la desolazione in tutto il Ponente; una lapide posta sopra la porta ne ricorda la data di inaugurazione, 25 marzo 1565.
Ripresa l'auto ripercorriamo in senso inverso tutto il lungomare e, tornati sulla via Aurelia diretti a Levante, appena fuori dell'abitato imbocchiamo a destra la deviazione per Taggia. Dal lungofiume, giunti all'altezza del grande magazzino sulla destra, voltiamo a sinistra per via Roma, che percorriamo fino a piazza Eroi Taggesi, di cui aggiriamo l'obelisco centrale prendendo a sinistra.
Dopo 500 metri, al bivio con fabbrica con ciminiera, risaliamo a destra e - superato il villino a destra con terrazzino retto da due cariatidi in pietra - arriviamo allo spiazzo da cui, risalendo a sinistra la lastricata salita San Domenico, raggiungiamo il convento dei Domenicani. La struttura, che a partire dal Quattrocento, con la ricca biblioteca, e nella chiesa di San Domenico una serie di dipinti. Rappresentano la maggior quadreria antica del comprensorio, fu per quattro secoli, il principale centro spirituale e culturale del ponente.
La chiesa, in stile gotico lombardo, fu realizzata dai maestri comacini Gasperino di Lancia e Filippo di Carlone nel 1490. In facciata si apre il semplice portale ad alto arco a sesto acuto, decorato da un marmo intagliato con la Vergine che regge il Cristo morto in grembo, e sormontato da un'ampia monofora e dall'oculo centrale. La porta sul lato sinistro ha l'architrave in marmo intagliato con la Vergine che protegge i frati sotto il suo manto, fiancheggiata a sinistra da San Pietro martire che ha conficcati una spada nella schiena ed un coltello nella testa, e a destra da Santa Caterina con Crocifisso nella mano destra e cuore nella sinistra. Il campanile è a cuspide, con due ordini di archetti pensili.
L'interno a navata unica è decorato a conci bianchi e neri alternati; i quadri che vi sono conservati sono da sinistra: "Ascensione di Cristo al cielo" di G.B. Trotti di Cremona, (detto il "Molosso") del 1593, "Santa Rosa col Bambino e San Vincenzo" di Gregorio de Ferrari (1600); il "Crocifisso con santi" di Emanuele Macario da Pigna (1540); questa cappella, cui segue il "Battesimo di Gesù" di Ludovico Brea (1495), è decorata dagli affreschi "Cristo incoronato di spine" ed "Ultima cena". All'altare maggiore è esposta la pala "Madonna della Misericordia" (1483) di Ludovico Brea, divisa in nove scomparti.
L'abside destra, dove è anche murata una lapide del 1472, è dominata dall'antichissimo impressionante crocifisso in legno d'ulivo dell'alto Medio Evo che proviene probabilmente dalla preromanica chiesa della Madonna del Canneto che poi vedremo; sotto c'è il simulacro del santo. Segue il polittico "San Domenico tra i Dottori" (1478) di Giovanni Canavesio, con il delizioso scomparto superiore della "Madonna delle ciliege"; ancora di Ludovico Brea, capostipite della scuola pittorica ligure-nizzarda, è il successivo polittico "Santa Caterina tra Sant'Agata e Santa Lucia", del 1488, mentre l'affresco "Sant'Antonio" del 1613 è opera di Luigi Bertrando.
Di Ludovico Brea sono poi anche la pala con la "Madonna del Rosario" (1513), di chiara impronta rinascimentale pur nella staticità delle immagini, ed il trittico "Annunciazione tra San Gregorio e San Sebastiano", originariamente polittico poi mutilato delle tavolette dei "Misteri del Rosario". Nel convento sono custodite altre opere del Brea, come "Il calvario di San Tomaso" del 1495 e la "Crocifissione" anch'essa del 1495, in biblioteca; nella sala capitolare e nel refettorio sono conservate due Crocifissioni, del Canavesio di cui il "Crocifisso con Madonna" del 1482.
In fondo alla navata destra si apre a destra la porta che immette nel chiostro, costruito nel Quattrocento utilizzando le venti colonne duecentesche in pietra provenienti da quello benedettino del Canneto; a destra c'è una doppia meridiana, a sinistra il pozzo ottagonale. Sul chiostro si apre l'ininterrotta successione delle porte che immettono ai locali interni; su quella all'angolo a sinistra c'è un architrave del 1542 intagliato con Vergine e Bimbo fra stemmi abrasi, seguito da quello della cappella interna, con affresco "Crocifissione" e "San Sebastiano". Le lunette delle porte sono state tutte affrescate nel Seicento con scene della vita di San Domenico spiegate da didascalie.
Usciti dal convento se prendiamo la via pianeggiante a sinistra incontriamo il Bastione dell'Orso e poi il Bastione del Ciazzo, torri cinquecentesche a tronco di cono raccordate da tratti di mura, con feritoie sopra il cordolo per i pezzi di artiglieria a difesa delle scorrerie dei pirati saraceni Dragut e Luzzalino (1543 - 1563).
Tornati al convento discendiamo in auto Salita San Domenico e parcheggiamo in fondo alla discesa; da qui a piedi prendiamo a sinistra entrando nel borgo attraverso la Porta dell'Orso. Nel centro storico troveremo cartelli con frecce che propongono diversi itinerari, identificati ciascuno da un numero; noi abbiamo fatto il giro che qui descriviamo.
Procedendo per via Lercari superiamo l'architrave con Trigramma al civico 33 e l'altro al civico 31 intagliato con scudi araldici poi abrasi, tra vasi di fiori; il bassorilievo al civico 10, mùtilo all'estremità sinistra ed intagliato con una splendida "Natività" che raffigura Maria, Giuseppe, il Bimbo e due angioli, è attribuito ai fratelli Gaggini.
Sboccati sulla piazza con meridiana sul fianco della chiesa, su cui sono murate le unità di misura della "canna" e della "cannella", troviamo a sinistra la fontana detta "Brakì delle Confrarie", costruita nel 1462 da Donato De Lancia con vasca ottagonale in pietra e colonna centrale in pietra scanalata arricchita da mascheroni. Sotto il volto che abbiamo di fronte c'è al 16 un'arcaica lapide intagliata con Cristo fra angioli.
Proseguiamo a sinistra oltre la fontana sboccando sul sagrato circondato dal porticato della chiesa dei Santi Jacobo e Filippo costruita nel 1670 su disegno del Bernini sul preesistente edificio romanico, con facciata barocca dominata dal grande scudo marchionale in marmo. All'interno nella cappella di destra è conservata la tela "San Giovanni Evangelista" del 1546 attribuita a Ludovico Brea, e quindi altre tele attribuite a Giovanni e Luca Cambiaso; nella cappella centrale di sinistra è la veneratissima statua della miracolosa "Madonna di Taggia" attorniata da numerosi ex-voto.
Uscendo dalla chiesa c'è a destra al civico 17 il Palazzo Lombardi con portale in pietra nera ed architrave intagliato con stemma abraso e scritta "Soli Deo, honor et gloria"; a sinistra in fondo al porticato è murato a terra un monolite mùtilo con croce. Imboccata la via tra la chiesa e palazzo Lombardi sbocchiamo dopo pochi passi in via Soleri, cuore del borgo nell'epoca rinascimentale di cui conserva numerose testimonianze.
A sinistra c'è Palazzo Curlo del 1448, con porticato retto da quattro archi gotici su pilastri in pietra; alzando lo sguardo possiamo vedere le volte affrescate del loggione superiore. Di fronte c'è Palazzo Asdente-Carrega, con lapide del 1431 intagliata a stemma, poi abraso, murata sulla strada; sotto il portico al civico 15 c'è un altro architrave con stemma abraso, Agnus, Trigramma e le lettere S A, e un altro monolite del 1473 intagliato con Agnus fra scudi abrasi è murato sotto la vicina finestra, da cui vediamo l'atrio interno con le balaustre in marmo della scala.
Più avanti al civico 18 si succedono portali in pietra nera con lapide intagliate l'una con la figura della Vergine e l'altra con Agnus fra angioli e la scritta: "Per multas tribulationes oportet nos introire in regnum Dei" (per entrare nel regno di Dio dobbiamo affrontare molte tribolazioni); gli stipiti sono decorati a motivi floreali.
Procedendo superiamo al civico 14 il grande massiccio monolite del 1491 molto elaborato, murato in basso sotto l'edicola, raggiungendo il cinquecentesco Palazzo Curlo ex Spinola, in pietra squadrata poi intonacata su cui si apre al civico 5 il portale in pietra nera con architrave riccamente intagliato e stipiti decorati a motivi floreali. Quasi di fronte, al civico 10, c'è un altro portale in pietra nera che ha intagliati negli stipiti due medaglioni, con Trigramma a sinistra e le iniziali A M della lapide a destra.
Siamo così arrivati in Piazza Cavour dove sorge il ricco Oratorio dei Santi Sebastiano e Fabiano, detto anche "dei Bianchi" dal colore della casacca della Confraternita, costruito nel 1454 e poi ristrutturato in barocco. Conserva sull'altar maggiore un suggestivo crocifisso in legno di epoca medievale, con piccolo angioletto al costato dell'ascetica figura del Cristo, e la grande icona realizzata da Donato di Ormea nel 1529. Sulle pareti sono grandi tele barocche dei pittori locali Giovanni Battista Oggero e Pietro Vivaldi; l'interno è ricco di marmi, colonne, stucchi e statue della stessa epoca.
Usciti dall'oratorio vediamo di fronte a noi un'altra lapide con Agnus del 1490 e, sotto il loggiato, l'architrave del portale scolpito con stemma araldico in parte abraso. Superati i busti di Eleonora Curlo e del dottor Soleri proseguendo per via Cavour arriviamo alla piazza dei Caduti con relativo monumento.
A sinistra si apre la suggestiva piazzetta medievale con bella fontana a vasca in pietra e mascheroni, fronteggiata dalla facciata dell'oratorio della Santa Trinità o "dei Rossi", eretto nel 1475 e poi rifatto in barocco; conserva all'interno policromi marmi intagliati e ricche decorazioni in oro. Proseguendo oltre il monumento ai Caduti passiamo a fianco del Bastione del Ponte, fortificazione costruita nel 1541 che conserva le feritoie e la caditoia a difesa della porta di accesso.
Siamo così arrivati al ponte medievale con edicola costruito nel 1450, largo tre metri, che attraversa il torrente Argentina su sedici arcate con corda di diciotto metri per una lunghezza di duecentosessanta metri complessivi; le due ultime arcate a levante, in blocchi regolarmente squadrati, risalgono all'originario ponte del Milleduecento.
Dall'inizio del ponte percorriamo un centinaio di metri verso monte sull'asfaltata via I maggio e superato il grande caseggiato moderno imbocchiamo a sinistra la strada lastricata che sale alla seicentesca chiesa di San Benedetto Revelli; da qui saliamo la rampa ciottolata sulla destra e raggiungiamo così la chiesa di Santa Maria del Canneto, già officiata dai Benedettini provenienti dall'abbazia di Pedona. La struttura originaria è fra le più antiche del Ponente: la cripta risale al 600 d.C.
Il campanile quadrangolare è del Millecento; ha in basso feritoie e poi via via salendo una monofora sormontata da bifora entrambe decorate con archetti pensili, un'altra bifora e quindi la copertura a cuspide con altre quattro cuspidi angolari più piccole. A destra del campanile c'è la piccola abside in pietra ricostruita sulla base originaria.
Il portale realizzato nel 1467 dal maestro comacino Gasperino de Lancia proviene dai ruderi della vicina chiesa di Sant'Anna: è ad arco gotico con al centro scolpita la Vergine con angioli fra due scudi abrasi. Dalle finestrelle in facciata possiamo vedere l'interno, con la scala che scende alla cripta, i resti della originaria chiesa preromanica e gli affreschi alle pareti: la "Vita di Maria" è attribuita a Ludovico Brea, mentre gli affreschi delle volte e delle lunette, la pala della "Resurrezione" e quella della "Vergine con Figlio e Santi Crispino e Crispiniano" sono opera di Giovanni e Luca Cambiaso (1547).
Ridiscendiamo la gradonata ciottolata e prendiamo a destra passando davanti alla chiesa Revelli; superato al civico 8 il semplice portale con Trigramma entriamo nel borgo attraverso la ben munita Porta del Colletto del 1541, che conserva negli stipiti i cardini originari e nel muro a destra le feritoie. All'interno c'è l'arco in pietra con i ferri della seconda porta, protetta dalla bassa feritoia esterna a destra e dalle due caditoie in alto; dopo la porta si aprono altre due feritoie da cui colpire chi fosse comunque riuscito a passare.
Percorriamo via Dalmazzo per andare ad ammirare al civico 32 la lapide gotica raffigurante la Resurrezione, fronteggiata da un architrave riutilizzato come panca, ed al civico 24 il portale di casa De Fornari con architrave intagliato a Trigramma retto da due angioli. Quindi superiamo l'edicola a destra e poi la fontana e saliamo a destra la scalinata che, passando sotto il volto affrescato, supera la porta di cui restano i cardini, corre lungo le cinquecentesche mura con feritoie e ci porta al convento dei Cappuccini del 1622. La chiesa è caratterizzata dalle cappelle delle famiglie Curlo, Lombardi e Lercari, sull'altare maggiore c'è il bel tempietto in legno finemente intagliato del 1702.
Torniamo in via Dalmazzo, che fu la via principale del borgo fino al Quattrocento, e superata la casa arcaica con portale in pietra ogivale al 38 raggiungiamo la trecentesca Porta di Barbarasa dietro la quale è murata a destra una piccola lapide seicentesca; oltre la porta è rinserrata in alto la parte più antica del borgo, rimasta intatta dall'alto Medio Evo.
A questo punto ci si pone la scelta tra l'itinerario più ricco suggerito dalle frecce (continuare a sinistra per via Dalmazzo) e quello più arcaico che noi preferiamo (salire a destra per via Littardi), che poi si congiungono; noi li descriveremo entrambi.
Chi prosegue per via Dalmazzo trova al civico 103 l'architrave del 1478 di Casa Porro, con Trigramma in corona di foglie di acanto fra due stemmi sopravvissuti all'epurazione napoleonica. Superato più avanti al 38 il portale in pietra ad arco ogivale troviamo dopo il volto, a sinistra, la scala semicircolare della casa con bifore nascoste dalle persiane; sopra l'arco del volto c'è una lapide rettangolare ormai indecifrabile per l'usura del tempo.
Al civico 42 c'è un architrave con Trigramma fra stemmi abrasi e sotto il volto, al civico 127, è miracolosamente sopravvissuto fino a noi il portoncino quattrocentesco completamente intagliato con motivo a stella, con la parte esterna della serratura dell'epoca in ferro battuto. Dopo il volto si apre a destra un altro portale del 1565 con stemmi abrasi, come abrasi sono quelli che fiancheggiano l'arcaico Trigramma dell'architrave a sinistra al civico 133.
Più fortunata è stata invece la famiglia Fiormaggi abitante al civico 54, che avendo piazzato la lapide con Trigramma e stemma familiare sotto l'architrave all'interno della porta, quando è arrivato Napoleone ha sì cancellato lo stemma sull'architrave esterno, in cui rimangono solo i fregi e la data (1565), ma ha salvato il secondo del 1596, ancor oggi visibile entrando nell'atrio.
Superato il volto, dopo un altro architrave con stemma abraso al civico 143 troviamo al civico 149 il bassorilievo di Casa Capponi, riccamente intagliato dal Gaggini. Meno ambizioso dei suoi nobili colleghi, il Capponi non volle ostentare sfacciatamente il proprio blasone ma lo inserì modestamente nei due piccoli scudi ai lati della composizione, costituita da Trigramma gotico in foglie di quercia con corona retta da angioli; lo stemma sfuggì così ai censori napoleonici e si è quindi conservato fino a noi.
Poco più avanti superiamo a destra un portale in pietra ad arco ogivale e a sinistra la finestra-porta di antica bottega; qui a destra sale via cardinal Gastaldi ma noi possiamo ancora proseguire brevemente per via Dalmazzo per andare a vedere alla fine della via la cinquecentesca Porta Pretoria, difesa dalle feritoie sulle mura esterne, da cui torniamo indietro risalendo poi per via Gastaldi.
Chi invece alla Porta Barbarasa ha scelto di salire con noi per via Littardi entra nel cuore della Taggia più arcaica: superata questa porta trecentesca passa infatti sotto il doppio arco in pietra della Porta du Viu, che chiudeva il borgo fino al Mille. Nella casa a sinistra si è conservata una feritoia e sopra l'arco della porta sopravvivono parte delle arcaiche mura con piccole finestre; a destra si apre un portale in pietra ad arco ogivale.
Passato il volto giriamoci a vedere la sovrastante edicola barocca, e proseguiamo poi osservando sotto l'arco affumicato a sinistra un altro portale in pietra ad arco ogivale ed un altro a destra sotto il volto successivo. Lungo la via si staccano i bui e stretti vicoletti del borgo altomedievale; i censori napoleonici evidentemente non sono passati da queste parti e si sono così salvati al civico 17, sopra la finestra-porta di una bottega trecentesca, gli scudi araldici dell'architrave che fiancheggiano con un turrito castello il Trigramma centrale.
Superato al civico 27 un altro architrave più semplice intagliato a Trigramma gotico arriviamo allo slargo con a destra il lavatoio con vasca in pietra e a sinistra un portale con semplice arco in pietra del 1562 sormontato da edicola; proseguendo passiamo sotto le torri e Palazzo Clavesana costruiti attorno al Mille, con alta feritoia centrale e caditoia in alto a destra sotto il volto.
Per godere almeno parzialmente dell'altro itinerario che qui si ricongiunge al nostro possiamo scendere ancora di pochi passi sulla vicina via Dalmazzo e prendere a sinistra sotto il volto per vedere a destra, trenta metri dopo la finestra-porta, il bel portale della famiglia Capponi già descritto.
Risaliamo via Gastaldi sotto le torri dei Clavesana e prendiamo a sinistra per via Santa Lucia, osservando al civico 4 l'interno della scala con strette volte a crociera affrescate e superando poi sotto il volto al civico 7 il semplice architrave intagliato con stemma araldico tra decorazioni floreali.
Poco più avanti troviamo sulla finestra al civico 11 un arcaico architrave intagliato a Trigramma gotico; osservato poi l'arco ogivale in pietra che si apre sul basso vicolo passiamo sotto l'archivolto con a destra l'arco in pietra ogivale e a sinistra le finestrelle quadrate.
Superata l'edicola barocca recente- mente restaurata troviamo sotto l'ultimo volto a sinistra al civico 14 un portale in pietra nera con Trigramma fra scudi abrasi. Siamo arrivati così alla fine del borgo da cui usciamo attraverso la Porta Sottana costruita attorno al Mille, difesa all'esterno dalla feritoia trapezoidale sulla destra. Da qui saliamo lungo la ripida rampa fino alla cinquecentesca chiesetta di Santa Lucia fuori le mura, con tetto a capriate e minuscolo sagrato a sedili.
L'itinerario ufficiale consiglia di proseguire fino all'Acropoli e noi ci siamo saliti, proseguendo oltre la chiesetta per la rampa cementata e prendendo poi a destra la mulattiera ciottolata fino allo slargo che domina dall'alto il paese.
La straordinaria posizione strategica di questo poggio ne ha fatto fin dai tempi di Rotari (641 d.C.) la piazzaforte ideale per l'insediamento di fortificazioni difensive, via via nei secoli distrutte e subito ricostruite più possenti; naturalmente anche Genova partecipa e come abbiamo visto le spiana completamente nel 1203, ma le incursioni saracene giustificano poi la ricostruzione delle cinquecentesche fortificazioni che abbiamo davanti.
Veramente di visibile oggi non c'è molto: oltre la torre circolare con alte feritoie quadrangolari c'è a strapiombo sul dirupo l'alta cinta muraria che rendeva inaccessibile allora ai nemici ed oggi a noi tutta l'Acropoli. Chi non ha particolare interesse per il panorama e le costruzioni militari del Cinquecento può quindi anche fare a meno di scarpinare fin quassù: fra l'altro torri identiche a questa sono ben più accessibili nei pressi del convento dei Domenicani, come già detto.
Raggiunta la chiesetta quindi possiamo risalire ancora di poco e rientrare subito a destra fra le mura sotto l'archivolto interamente intonacato, attraversando la porta che conserva a sinistra i cardini originari. Superato il portale ad arco ogivale in pietra a sinistra proseguiamo tenendoci in piano per raggiungere, dopo l'archivolto con altri portali ad arco ogivale e l'arcaica casa in conci squadrati, un antico brakì ubicato a sinistra sopra il piccolo spiazzo erboso.
Nella vasca in pietra dell'arcaica fontana medievale l'acqua sgorga da una canaletta che si apre nel sovrastante muro in conci squadrati, uno dei quali è completamente intagliato in caratteri gotici con la breve storia della fontana che ricorda anche il nome dei massari che la costruirono nel 1455. Da qui scendiamo la rampa pavimentata in porfido lungo cui si alternano ruderi e case restaurate e prendiamo a destra per via Segneri raggiungendo il grande volto in cui si aprono i portali in pietra ad arco ogivale ora murati del Municipio medievale.
Attraversatane la Loggia, all'incrocio prendiamo a sinistra, poi ancora a sinistra sotto l'altro volto e quindi a destra; dopo lo slargo ciottolato superiamo a destra il già visto lavatoio e ripassiamo scendendo a destra sotto le già viste torri dei Clavesana.
Continuando a scendere dritti lungo la via Gastaldi attraversato il volto con portale dall'architrave ormai illeggibile al civico 14, arriviamo al piccolo slargo dove si è conservato a destra sotto il volto il portoncino quattrocentesco in legno intagliato con architrave scolpito a Trigramma in un tondo fra scudi abrasi; dal volto sbocchiamo quindi sul sagrato della chiesa che attraversiamo tenendoci a destra, voltando poi a destra dopo la fontana per andare a riprendere l'auto.
In auto raggiungiamo il lungofiume risalendolo fino al ponte moderno che attraversiamo svoltando subito dopo a destra per andare a parcheggiare quattrocento metri più avanti nei pressi della casa gialla che vediamo a sinistra.
Qui sorge la chiesetta di San Martino, fra le più antiche del Ponente: eretta dai monaci Benedettini di Pedona (Borgo San Dalmazzo) nel 600 d.C., la piccola costruzione ha la porta con arco in pietra a tutto sesto e due piccoli oculi in alto, sormontati a sinistra dal campaniletto a vela; sul fianco destro si aprono due piccolissime monofore strombate e il portale in pietra ad arco ogivale della porta laterale oggi murata.
L'interno è decorato nell'abside da una serie di affreschi che risalgono al Quattrocento: nel catino domina la figura del Cristo fra gli angioli, con a sinistra Santa Caterina e a destra in basso San Matteo e San Giovanni; in alto c'è l'affresco più arcaico, forse del Mille, con ingenua scena del Giudizio Universale.
Tornati all'auto ripercorriamo il ponte e prendiamo a destra la strada che risale la valle Argentina dirigendoci a Badalucco. Dopo circa cinque chilometri incontriamo sul ciglio destro della strada, su di un poggio quasi interamente circondato dal fiume, i pochi ruderi del Castello di Campomarzio ormai quasi interamente coperti dalla vegetazione.
La posizione particolarmente strategica di questo formidabile baluardo che controlla l'unica via di accesso all'alta valle ne ha fatto da sempre sede di fortificazioni di origine bizantina, i cui resti più antichi risalgono al 600 d.C.; qui sorgeva anche l'ormai scomparsa chiesa di San Giorgio. La domenica successiva alla ricorrenza di santa Maria Maddalena (22 luglio) si tiene il tradizionale "Ballo della Morte" che si svolge per la festa di santa Maria Maddalena del Bosco.
La festa si tiene in un eremo benedettino situato in un bosco a circa tre chilometri da Taggia, dove, alla vigilia, giungono i maddalenanti con il loro presidente, il contestabile, che vi trascorrono la notte, mentre il giorno dopo da Taggia arriva la popolazione per assistere al "Ballo della Morte", eseguito da una giovane coppia.
Altra festa molto sentita dai Taggesi è quella di san Benedetto Revelli, che si svolge il 12 febbraio a ricordo di un episodio storico avvenuto nel 1626 quando il paese venne salvato dalle conseguenze della guerra allora in corso tra Franco-piemontesi e Genovesi su intercessione del santo.
La sera del sabato e della domenica più vicini al 12 febbraio vengono accesi decine di enormi falò nelle vie e nelle piazze cittadine assieme ai fùrgari, originalissimi fuochi d'artificio.