Altitudine: m 45 s.l.m.
Superficie: km2 11
Distanza da Imperia: km 37
Abitanti: nel 1881 3015 - al 2017 10454
Festa patronale: 14 Maggio - Sant'Ampelio
Informazioni: Comune tel. 0184 2721
"Città delle palme" per antonomasia, Bordighera venne fondata nel 1470 da trenta famiglie di Borghetto San Nicolò; ma la sua storia più antica è legata al monaco-fabbro Sant'Ampelio, che all'inizio del V secolo si traferì qui dal Basso Egitto, andando ad abitare in una grotta in riva al mare dove oggi sorge la cappella a lui intitolata.
Il distretto di Bordighera apparteneva alla giurisdizione dei Conti di Ventimiglia, finché nel Seicento non confluì nella "Magnifica comunità degli Otto Luoghi" sotto la tutela genovese.
La città si è vigorosamente sviluppata negli ultimi cento anni sull'onda del successo turistico che vide fra i suoi ospiti anche i Reali Savoia, e non conserva tracce significative del suo passato.
Visita al Borgo
La nostra escursione inizia dalla deviazione che, staccandosi al semaforo dalla via Aurelia in Bordighera, in pochi chilometri ci porta a Borghetto San Nicolò.
Parcheggiata l'auto, scendiamo allo slargo sotto la strada e raggiungiamo il barocco oratorio dell'Annunziata proseguendo oltre il sagrato fino all'incrocio da cui andiamo a destra sotto il volto con edicola. Superate diverse case arcaiche in pietra, prendiamo poi a sinistra la via con pavimento in mattoni al centro; allo slargo c'è, murata nella parete a sinistra, una testa di leone in terracotta.
Passati sotto il volto a sinistra ci inoltriamo fra case in decadenza fino al volto successivo, originaria porta di accesso al borgo, che conserva ai lati i fori per le chiusure e nel sottotetto le mensole in pietra che reggevano le caditoie; a destra c'è il finestrino-feritoia, a sinistra una feritoia verticale ed in alto una quadrangolare.
Da qui torniamo alla carrozzabile che attraversiamo per raggiungere la sovrastante chiesa di San Nicolò; sulla facciata è murata una lapide che ricorda come proprio su questo sagrato si riunirono, il 2 settembre 1470, i capifamiglia di Borghetto e dei centri vicini per decidere la costituzione della comunità di Bordighera.
Torniamo all'auto e proseguendo sulla provinciale raggiungiamo Sasso, pugno di case aggrappate alla collina.
Parcheggiamo sullo slargo di fronte al sagrato della chiesa dei Santi Pietro e Paolo; il palazzotto a sinistra, decorato da due teste di leone in marmo del 1735, è la residenza della famiglia Rossi che ha dato lustro al paese sfornando letterati, deputati e generali, come ci informa la lapide sulla facciata.
Accanto c'è il "giardino di Irene Brin", scrittrice ormai scomparsa, con le tre statue in bronzo che ricordano il sacrificio di tre partigiani di Sasso.
Saliamo dalla parte opposta per la rampa in mattoni a destra del sagrato, superando a sinistra la torre circolare con piccole feritoie quadrangolari che difendeva la vicina porta di cui restano infissi nel muro i cardini in ferro.
Passati sotto il volto con sedili ai lati arriviamo alla piazzetta da cui scendiamo a destra; infilandoci poi a sinistra in via Filzi, in alto a sinistra in cima alla scala possiamo vedere la lapide che ci ricorda che qui nacque Pietro Taggiasco, "uomo dotto" che morì poi a Roma nel 1871 fra il generale compianto di "tutte le intelligenze" dell'epoca.
Tornati a scendere sbocchiamo sulla piazza, su cui sorge a destra la torre circolare poggiante sulla roccia sottostante e sulla casa verso strada con feritoie.
Ripresa l'auto continuiamo a salire tra olivi e coltivazioni floreali finché arriviamo a Seborga, preannunciata da ripetuti riferimenti al suo "Principato".
Seborga, già "Sepulchri burgum" (da cui il nome) dei Conti di Ventimiglia, fu da questi ceduta ai monaci di Lerino nel 959.
La storia del "Principato" è legata al grande bluff dell'abate di Lerino, che attorno al Mille comincia a farsi chiamare "Principe" ed autopromuove a Principato il suo paese, il che per la verità si trascina per secoli nell'indifferenza generale.
Nella seconda metà del Seicento Seborga conta appena venti famiglie di cui tutte, tranne due, definite "povere e miserabili"; ciononostante gli intraprendenti fraticelli mettono su addirittura una zecca, ed il sedicente Principato comincia a battere moneta propria; ed anche questa iniziativa non darebbe fastidio a nessuno se non fosse che, com'è come non è, proprio da quando i frati di Seborga hanno cominciato a stampar monete, nella vicina Francia hanno cominciato a circolare sempre più spesso monete d'oro false tanto ben contraffatte da far pensare a veri e propri professionisti del conio.
A torto o a ragione, Re Luigi XIV se la prende con la zecca di Seborga, che fa chiudere nel 1686.
Finita la cuccagna i monaci se ne vanno e nel 1729 vendono il loro "Principato" ai Savoia, sempre pronti a comprare a qualunque prezzo ogni pezzo di terra che li avvicini al mare.
Parcheggiata l'auto sul piazzale, entriamo nel borgo per via Miranda e, attraversata la linda piazzetta, superiamo la macelleria che utilizza tuttora la ben restaurata finestra-porta di antica bottega e prendiamo a destra per via Verdi, passiamo sotto il volto e scendiamo a sinistra per Vicolo Stretto, andando a sboccare nella civettuola piazzetta, sagrato della barocca chiesetta di San Martino decorata in facciata con affreschi del 1928.
Qui sorge anche, circondato dal ben ricostruito loggiato, il palazzotto residenziale del "principe", con stucco del 1896 che ne riproduce lo stemma.
La chiesetta era la cappella dei Benedettini e venne poi interamente rifatta nel Seicento, epoca di cui conserva all'interno due statue lignee: a destra quella del santo e dietro l'altar maggiore quella, di origine spagnola, della Vergine con Bambino.
Usciti di chiesa scendiamo a destra e, sboccati nello slargo dove ha sede il Municipio, risaliamo la rampa con i primi gradoni semicircolari che lo fronteggia: passati sotto il volto troviamo la vera Seborga più umile e genuina che se ne sta nascosta nei suoi vicoletti più oscuri, con le sue vecchie pietre che ancora non conoscono l'onta del cemento dei moderni restauri.
Dopo il volto prendiamo a sinistra e torniamo così per la via già percorsa fino all'auto; sul lato monte dello spiazzo da cui ridiscendiamo a valle sorge l'oratorio di San Bernardo, originario del Milleduecento ma interamente rifatto in barocco, con la campana appesa alla fiancata sinistra senza neanche uno straccio di campanile.